Incontrare il lutto nella realtà virtuale

Incontrare il lutto nella realtà virtuale 

Chi tra voi lettori ha sentito parlare della mamma coreana che ha incontrato la figlia Nayeon, scomparsa prematuramente a soli 7 anni per leucemia, tramite un visore di realtà virtuale? 

Indubbiamente il tema è estremante delicato e forse molti riterrebbero la notizia scioccante. 

In questo incontro, narrato nel documentario televisivo “I met you”, questa mamma addolorata dalla gravissima perdita, interagisce con la piccola, le cui risposte e reazioni sono simulate tramite un sistema di I.A., in un ambiente 3D tramite un casco visore di realtà virtuale. In questa dimensione, madre e figlia parlano, giocano, spengono le candeline di una torta per poi salutarsi per l’ultima volta, perché Nayeon si addormenta e poi, trasformandosi in una farfalla, vola via.

Sono molti gli interrogativi che sicuramente suscitano l’utilizzo della tecnologia per approcciarsi al tema della morte e dell’elaborazione del lutto, al di là delle comprensibili ed immediate reazione emotive che sono per ciascuno di noi soggettive e pertanto personalmente legittime.

Intanto, già solo indossare i panni di questa donna in una delle esperienze più dolorose che da essere umani possiamo incontrare nella nostra esistenza, cioè la perdita prematura di un figlio, a me spaventa e mi fa pensare che probabilmente cercherei qualunque tipo di aiuto possibile per riuscire a farcela a superare almeno un po' di quel dolore. 

La domanda centrale è: questo tipo di aiuto che viene dalla tecnologia può essere valido oppure controproducente?

Ritengo che come in tutti i temi di natura esistenziale e perciò di grande spessore non ci sia una risposta univoca. Piuttosto si debbano valutare i molti fattori implicati e soppesare di caso in caso. Riflettiamo su qualche punto.

Qualcuno, anche tra gli psicologi, obietta che incontrare virtualmente una persona che non esiste più non ti permetta di elaborare il lutto, ma che piuttosto alimenti la fantasia che la persona esista ancora in una qualche forma, in questo caso virtuale, e perciò non si riesca a lasciarla andare.

Quando ho letto la notizia mi ha rincuorato che nella sequenza ci sia il saluto finale alla bimba virtuale che si addormenta per poi trasformarsi in farfalla e volare via. Se la signora avesse solamente giocato o parlato con lei senza una conclusione che ritualizzasse il distacco, penso che sì, avrebbe alimentato la fantasia di una relazione che nel mondo reale non esiste più, causando ulteriore dolore ed una possibile dipendenza dal sollievo immediato e labile di un incontro virtuale.

Invece la morte rappresentata dalla trasformazione simbolica della bimba in farfalla, mi ha fatto pensare a quando, nella scena di psicodramma, si prende commiato da una persona che è mancata.

Lo psicodramma è un metodo psicoterapeutico in cui una persona può rappresentare situazioni di vita reale, ma anche sogni o situazioni possibili con l’ausilio del gruppo di persone che partecipano alla sessione e che si prestano come attori. Tali rappresentazioni permettono di comprendere profondamente dall’interno cosa ci accade, elaborare emozioni e trovare soluzioni alternative a quelle note e non così funzionali. 

Nella scena di commiato qualcuno impersona il defunto, ma le parole ed i gesti di questi, saranno quelli che sceglie il protagonista della scena che si appresta a salutare il proprio caro. Il motivo è che in questo rituale di psicodramma, salutiamo il defunto così come lo abbiamo conosciuto in relazione a noi, nella nostra vita, che è diverso per ciascuna delle persone con cui in vita il defunto ha avuto a che fare. Cioè, sarà stato  percepito e vissuto diversamente, da figlio, moglie, madre, amico, o collega di lavoro etc.

Nel caso di Nayeon parole e gesti sono stati elaborati tramite un sistema di intelligenza virtuale presumibilmente partendo dalla descrizione della madre del suo carattere. Ritengo che sia fondamentale che il personaggio virtuale si comporti esattamente come la madre in questo caso si aspetterebbe, affinché  abbia una valenza terapeutica. 

Altro punto non di poco conto è considerare in quale contesto viene utilizzato il mezzo tecnologico per favorire l’incontro ed il commiato virtuale. Il rito deve indubbiamente avvenire in un contesto terapeutico affinchè possa definirsi tale, cioè, il processo che utilizza la realtà virtuale per approcciarsi al lutto deve essere monitorata da psicoterapeuti, svolgersi in un gruppo terapeutico o prevedere la partecipazione corale di persone care che assistono e condividono l’emozione ed il saluto al defunto così come avverrebbe al funerale.

Nel caso di cui discutiamo il marito della donna e gli altri figli hanno partecipato con visibile commozione all’incontro osservandolo tramite uno schermo. Non sono soli però, una troupe televisiva riprende la sequenza e personalmente è ciò che di primo acchito mi piace meno, la spettacolarizzazione (e monetizzazione) del dolore.

Da un altro punto di vista lo “spettacolo” ha però nuovamente una valenza terapeutica, questa volta per il pubblico che assiste e si immedesima nella rappresentazione di questa tragedia umana, perché catalizza e libera emozioni intense, divenendo “catartico”, così come in antichità il teatro classico, nella modernità la visione di un film drammatico e oggigiorno una serie Netflix ben fatta. 

Sono di certo molti altri ancora gli interrogativi che possiamo porci sul piano etico e non, i rischi e le possibilità a cui le nuove tecnologie possono metterci di fronte. Ritengo che in tal senso le prove sul campo ci aiuteranno ulteriormente a chiarire, fornire le risposte che ci servono, correggere e migliorare costantemente ogni innovazione che potenzialmente può migliorare la nostra qualità della vita.